Claudio Strinati
Roberto Joppolo è uno dei pochi artisti del nostro tempo ad aver affrontato, con energia e determinazione, il grande tema della committenza religiosa senza mai perdere di vista il senso profondo del suo stile e della sua personale ricerca nel vastissimo mondo della figurazione. Come gli antichi si è mosso e si muove tra tecniche diverse e di ognuna ha saggiato e approfondito lo specifico, tanto che di lui si può ben dire che l’insieme della sua opera risulta sempre compatta e unitaria ma, nel contempo, molto netta è la differenza tra il pittore e lo scultore che dicono cose analoghe ma in maniera strettamente inerente, di volta in volta, alla tecnica specifica. Tutto questo scaturisce da un punto centrale che ha marcato e marca tutta la carriera dell’artista. La sua inesausta capacità produttiva per cui i lavori scaturiscono in una sorta di continum è garantita da un flusso diispirazione che resta costante tanto nell’opera colossale quanto nella piccola opera di stanza. Joppolo sembra avere risolto una volta per tutte l’assillo dell’urgenza creativa perché è pressoché impossibile trovare nel suo percorso un lavoro che denoti minore necessità e sostanza di un altro, tanta è la forza di persuasione che queste opere recano in sé. Come gli antichi Joppolo è un fervido creatore di tematiche intrinsecamente religiose nutrite di una attitudine fantastica molto accentuata ma non scade mai nel didascalico e nell’ovvio riferimento dell’Antico che in lui è sedimentato come una memoria da cui non trarre citazioni ma solo suggestioni. Così il linguaggio di Joppolo è naturalmente moderno, non basato su teorie che pure il maestro sente molto vive in sé, ma sul concreto dell’operare e, da questo punto di vista, molto ha giovato alla sua creatività la magnifica attitudine al dominio di tante tecniche, come molti esegeti del suo lavoro hanno più volte giustamente notato. Joppolo è un grande scultore e sulla scultura si è arrovellato per tutta la vita ma è altrettanto egregio pittore senza che le due forme d’arte costituiscano per lui un problema, perché entrambe naturali e necessarie alla sua espressione. Ma, in sostanza, quale è dunque questa espressione che rifulge così chiara nell’insieme del suo lavoro ma che è così difficile circoscrivere, poi, in una formula critica altrettanto unitaria? Questa sostanza è, in definitiva, la vita stessa, fulcro di tutta la sua forza creativa e calata, di volta in volta, in innumerevoli declinazioni che mai perdono l’ispirazione essenziale. Di Joppolo è stata notata più volte l’estrema discrezione e umiltà dell’uomo, che non pretende e non prevarica ma ha fede esclusivamente nel proprio lavoro e spera sempre di poter imporre, con molta semplicità, l’essenza della propria creazione. Ma questa componente, che c’è in lui chiara e limpida, implica qualcosa di ben più profondo. E’ l’umiltà di chi sa bene di essere a stretto contatto con la pulsazione stessa della vita e concepisce l’opera d’arte come una sorta di “riproduzione” dello slancio vitale, non descritto nei termini di un naturalismo oggi non più proponibile ma “realista” nella percezione profonda della struttura artistica, perché non c’è nulla di più reale del flusso medesimo dell’esistenza e questo è l’oggetto autentico dell’artista, sia nella sua veste di delicato maestro religioso, sia in quello di robusto e solido cantore laico. Quando Joppolo è pittore la sua tavolozza è netta e forte perché ha di mira il tema degli incastri e degli incontri per cui le forme, non naturalisticamente intese, si connettono, si scontrano e si compenetrano con quel senso di gioia di vivere che sovente non si avverte affatto in tante figurazioni più esplicitamente “vere” di tanti artisti che predicano ipotetici ritorni al figurativo. Ma questo accade perché Joppolo ha colto bene l’idea della Natura, della Verità e della Realtà e sa bene, intuitivamente, che questi termini non sono interscambiabili. In lui c’è un’ansia assoluta di Verità che non ha nulla a che fare con la diretta riproduzione di ciò che si vede nel quotidiano ma che entra in profondità proprio nella dimensione del quotidiano. Ed ecco il suo essere umile e buono! E’ una umiltà francescana, intendendo l’idea cruciale di Francesco dell’amore per la vita in sé, uno dei più alti valori espressi dalla religione cristiana, un insegnamento che ha nutrito l’immaginario di Joppolo, appunto in modo naturale, permettendogli di conseguire uno stile assolutamente suo che non ha necessità di essere inscatolato nelle definizioni di astratto o surreale, perché, non conscio di tanti fondamentali eventi artistici del secolo appena trascorso, è la traduzione diretta di un impulso creativo che tutto desume dai problemi dell’esistenza ma non intende rappresentare nulla che non sia il sentimento e l’afflato lirico in se stessi. Se si studiano le sue sculture, specie quelle in terracotta, ci si rende conto di quel significato sempre latente di germinazione, scaturigine delle cose che conduce le forme a ritornare su se stesse in una sorta di abbraccio ancestrale che regola la loro vita, E’ un tema antichissimo della scultura, riproposto tante volte dall’età classica, anzi addirittura preclassica, fino al Neoclassicismo canoviano che è quanto di più lontano si possa immaginare dal mondo di Joppolo. Eppure Joppolo ripropone e rivive da par suo queste tematiche remote, proiettandole in uno scenario limpido e appassionato che è quello dei temi che ci appartengono, tanto che gli echi delle forme germinanti l’una dall’altra, che risale al grande Surrealismo storico, sono assimilati e ripensati secondo un’ottica completamente nuova. C’è in lui, un concetto fondamentale che regola tutte le immagini ed è il concetto del “costruito”. Joppolo è, in effetti, un costruttore di forme e nell’idea stessa della costruzione si concentra sovente la sua capacità creativa. Ma non è un costruire astratto, quanto, piuttosto, un dare vita a un flusso di energia che prende corpo seguendo con naturale docilità la mano che plasma la materia. Le forme sembrano scaturire da una specie di ancestrale rotazione per cui, tornando su se stesse e componendosi da sole, si fermano, nel momento stabilito dall’artista, e hanno assunto la loro posizione finale e definitiva, divenendo corpi, persone, ma anche soltanto la proiezione visiva di uno stato d’animo o di uno afflato sentimentale. C’è in Joppolo un duplice costante riferimento all’idea della ciclicità e all’idea della lievitazione, come se la quintessenza dell’arte consistesse nel togliere alle cose rappresentate peso e incombenza per proiettarle in un iperuranio dove la forza di gravità non esiste più e i corpi celesti si muovono liberi da ogni gravame e da ogni preoccupazione. Le forme arrotondate e smussate divengono metafora del flusso ininterrotto dell’energia vitale e in questo sentimento si incontrano il pensiero laico e quello religioso, per cui non è possibile distinguere uno Joppolo artista sacro che lavora sulle immagini religiose e ricompone un percorso di fede che trae le sue radici da molto lontano; e uno Joppolo, moderno e avanguardista, che prescinde dalla rappresentazione realistica e spazia su un universo mentale libero e disincantato, alla ricerca del puro equilibrio e del trionfo della fantasia scissa da qualunque condizionamento. In realtà questo duplice modo di porsi e formulare l’opera d’arte è compresente in tutta l’opera di Joppolo e la mostra che oggi presentiamo vuole, appunto, avere l’ambizione di restituire una immagine a tutto tondo di questo artista, da un lato appartato e discreto ma dall’altro estremamente partecipe delle idee del nostro tempo e orgogliosamente presente nel dibattito contemporaneo. Nessuno meglio di lui fa comprendere bene come, ormai, il dibattito intorno alle scuole e alle tendenze non abbia più chiara ragione di essere. Non è possibile iscrivere Joppolo in una categoria di artisti. Egli si è sempre tenuto fuori da quel genere di questioni e problematiche e oggi una mostra come questa riteniamo possa rendere giustizia a un artista il cui unico scopo è quello di affermare la propria continuità espressiva attraverso un itinerario di pensiero coerente e consequenziale ma libero dall’obbligo di rendere conto a un inquadramento che in ogni caso non gli competerebbe. Emblematica è la sua appartenenza a un mondo, quale è quello che nel corso dei secoli ha lasciato traccia profonda di sé, tra il senese e il viterbese, luoghi in cui l’arte, di tempo in tempo, sembra essere scaturita dalla terra per rendere le cose più libere e consapevoli, un mondo in cui l’artigiano e l’intellettuale sono veramente due facce di una stessa medaglia fatta di creatività, di aderenza alla realtà più semplice e immediata delle cose, di fede certa nei valori dello spirito e nella capacità dell’essere umano di avvicinarsi ai significati essenziali dell’esistenza solo vivendola e interpretandola, scevra da intellettualismi e inutili complicazioni. L’arte di Joppolo nasce proprio da presupposti del genere. Visitando la mostra sembra di notare il dipanarsi delle diverse età della vita, ciascuna ricca di occasioni e di bellezza, e di assistere a un interrotto colloquio tra le immagini e l’essere vivente, le une fatte per l’altro
Tratto dal catalogo edito da De Luca in occasione della mostra a Castel Sant’Angelo – Roma